Dal nulla non si genera nulla.

Un seme deve morire per produrre la spiga di grano per dare la farina per il pane, la grande quercia per ossigenare la terra, il pesco, il susino, il noce per sfamare tanta gente.

Nell’eternità, indipendentemente dal credo religioso, cosa siamo noi se non un piccolo granello di sabbia che oggi c’è e nel giro di pochissimi anni sarà sperso nel vento?

Ma a differenza di un seme trasportato nell’aria, il quale produrrà frutto a seconda di dove andrà a cadere, noi possiamo decidere se dare frutto, e persino quale, anche se non quanto.

Per produrre qualcosa di buono dobbiamo però essere disposti a morire, non tanto di una morte fisica, quanto di una “morte sociale”.

Dobbiamo essere disposti a dedicare la nostra vita ad una causa, qualunque essa sia.

Dedicare la vita ad un principio o ad una persona non significa andare a fare qualche ora di volontariato ogni tanto, ma entrare “anima e core” in una situazione sostenendo chi combatte per i diritti umani, per la natura, per la difesa dei Bambini, per l’accoglienza dei migranti, per la scoperta di nuovi farmaci, per la guerra alla povertà.

Ogni nobile causa è degna di essere sostenuta, ma scegliamo di farlo. Dobbiamo essere disponibili a morire, perché solo morendo potremo dare veramente voce a chi soffre, solo dedicando la nostra vita ad un ideale potremo vederlo crescere ed affermarsi. E se alla fine della nostra vita terrena non saremo riusciti a debellare la fame nel mondo, avremo la soddisfazione di aver fatto la differenza per una persona, lasciando ad altri il nostro esempio affinché facciano quello che noi non siamo riusciti a fare.
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La vita è un dono che deve essere investito affinché produca frutto.

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